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martedì 30 dicembre 2014

Un anno di libri

A Natale siamo tutti più buoni. Evviva.
Io invece, oltre che più buona, voglio essere più sincera: in questa settimana, alla faccia del tempo libero delle feste e del periodo di relax, non ho letto neanche una pagina. Forse neanche una riga, per rimanere fedeli alla questione della sincerità.
Ho trascorso le mie ore spiaggiata sul divano, guardando un film dopo l'altro (sia maledetto il nuovo decoder mySky XD) o scorrendo il feed di Facebook presa dall'improvvisa necessità di farmi gli affari altrui (a volte sono una stalker, lo ammetto).
Domenica sera, mentre sceglievo l'ennesimo film da vedere, mi si è manifestata la triste verità. Era domenica, e non avevo ancora letto niente. Pur nel remoto caso di trovare in casa un libro non ancora letto (ma a Natale non si regalano più i libri?), era improbabile che riuscissi a finirlo nel corso della notte. Ormai rassegnata ho premuto play, e il film è iniziato.
Prima di dormire, però, ho iniziato ad arrovellarmi. Mi giravo e rigiravo tra le lenzuola in preda ai sensi di colpa. E poi la seconda lampadina.
Questo è l'ultimo post del 2014, e nonostante questo blog sia chiaramente troppo giovane per tirare le somme o mettersi a fare propositi per l'anno nuovo, il momento mi sembra più che adatto per stilare una lista di consigli di lettura. L'idea iniziale era quella di scrivere un post ispirato alla miriade di articoli che imperversano in rete in questi giorni, del tipo "le canzoni più ascoltate", "le serie più scaricate".... Ma il mio già menzionato attacco di sincerità mi costringe di ammettere che non sono assolutamente in grado di ricordare quali libri io abbia letto quest'anno (prima di quelli menzionati qui, ovvio XD), ragion per cui il mio ultimo post dell'anno conterrà consigli più generici.

Mi capita piuttosto spesso che i miei amici mi chiedano consiglio su che libri comprare o regalare. La domanda mi lancia sempre nel panico, perchè ci sono una serie di dettagli da valutare e di variabili potenzialmente impazziteda considerare. La mia recente esperienza mi conferma comunque che sarebbe preferibile evitare di regalare libri che non abbiamo mai letto, perchè in quel caso le variabili aumenteranno la probabilità di impazzire!
Ma veniamo a noi. Non so ancora che metodo seguire, ma preferirei evitare di fare un semplice elenco, quindi cercherò di rendere i miei consigli il più discorsivi possibile.

Parto dai libri della mia infanzia, per entrare nel mood. Il Signore degli Anelli, che ho iniziato a dieci anni e non ho più abbandonato. Se non lo avete mai letto, trovate l'occasione (e il tempo) per farlo. Con la consapevolezza che al fantasy, e soprattutto a questo monumento del fantasy, ci si deve accostare con la mente aperta di un bambino di dieci anni, lasciandosi trasportare nella Terra di Mezzo. L'altro libro dell'infanzia (e come potrebbe essere altrimenti?) è la saga di Harry Potter. Sono tra quei tanti fortunati che hanno avuto l'opportunità di crescere insieme ai protagonisti dei romanzi della Rowling, quindi non so che impressione si possa avere leggendoli tutti insieme. Quel che è certo è che per me le avventure di Harry, Ron e Hermione sono una parte di infanzia, e non potevano non essere menzionati in questo post.

Facendo un salto in avanti nel tempo, arriviamo ai libri di un autore che mi ha colpito così tanto da rendermi estremamente ripetitiva. Non c'è persona che mi abbia chiesto aiuto al quale io non abbia parlato de Le lacrime di Nietzsche di Irvin Yalom. E visto che ne ho già parlato abbastanza, non mi dilungherò in ulteriori descrizioni. Yalom, però, è autore di altri romanzi altrettanto interessanti. Consiglio La cura Schopenhauer in particolare agli appassionati di psicanalisi, mentre Il problema Spinoza è un romanzo straordinario, tutto da scoprire.

Il 2014 è stato anche l'anno di Alice Munro. Sono arrivata in ritardo, perchè la Munro ha vinto il premio Nobel per la letteratura nel 2013, ma poco male. C'è tutto il tempo di recuperare. La scrittrice canadese è autrice soprattutto di raccolte di racconti, ma la prima cosa che ho letto è stata il suo romanzo Chi ti credi di essere?. Da lì, il passo fino all'acquisto della raccolta di racconti Troppa felicità è stato breve. Lo dico apertamente: non sono una grande amante dei racconti. O forse il mio amore era soltanto in letargo, pronto ad essere risvegliato dalla penna di un'artista straordinaria come la Munro.

Leggendo i racconti della Munro, non saprei spiegare bene il perchè, mi tornava in mente un altro autore, scoperto l'anno precedente, le cui pagine mi avevan affascinata: Geoffrey Eugenides. Avete presente i libri che si iniziano a leggere con qualche perplessità, ma dai quali poi non ci si riesce a staccare? La trama del matrimonio è un po' così, nonostante la sua lunghezza l'ho letto tutto d'un fiato, e prima che me ne rendessi conto ero tornata in libreria e stavo comprando un altro libro di Eugenides, Middlesex. Middlsex è una storia incredibile, un po' saga familiare un po' romanzo di formazione che fa ridere, piangere e alla fine lascia stupefatti.

Ho già parlato anche di questo, ma devo ripetermi ancora una volta e dire che la scoperta dell'estate per me è stata Diario di un corpo di Pennac. Non c'era pagina che voltassi senza ripetermi "che bell'idea, proprio una bella idea". Quindi non vi dico altro, per non rovinarvi l'eventuale sorpresa.

Capitolo autori italiani. La scoperta di Elena Ferrante è stato un momento importante dell'anno, anche se essendo ferma al primo capitolo della saga probabilmente non posso esprimere un giudizio definitivo. Comunque non vedo l'ora di comprare i prossimi volumi, quindi ne sentirete parlare presto! Quanto ad altri italiani, quest'estate ho letto Le luci nelle case degli altri di Chiara Gamberale. Anche in questo caso, l'idea era molto carina e il libro mi è piaciuto, anche se in alcuni rari casi avrei cambiato qualcosa. Di certo comprerò gli altri libri della Gamberale, nonostante abbia recentemente scritto un'opera a quattro mani con Massimo Gramellini, dalla quale mi terrò debitamente alla larga (e vi prego, evitate i libri di Gramellini!).

Mi sono già dilungata troppo quindi cerco di essere più breve. Se vi piace la letteratura americana o volete leggere un bel libro proveniente dall'altra parte del mondo, ho un paio di proposte. Philip Roth,che qualche anno fa è stato premio Pulitzer per Pastorale Americana e che con cadenza quasi annuale sforna un romanzo degno di nota. Oppure Paul Auster, se siete amanti di New York e vi interessano le sperimentazioni letterarie non potete perdervi la sua Trilogia di New York.

Capitolo classici, e tra un po' smetto. Non so perchè pensando ai classici in questa mattina di gelo mi sono venute in mente due cose, comunque le condivido.
Se vi sentite vendicativi e avete un po' di tempo a disposizione, invece di mangiarvi le mani e rimuginare cercate in casa una copia del Conte di Montecristo e fatevi venire qualche buona idea con una delle storie di vendetta e avventura più famose della storia. Se invece siete in mood filosofico e volete riflettere sull'umanità chiedete a Milan Kundera (a scelta tra L'insostenibile leggerezza dell'essere, Lo scherzo e Il valzer degli addii) e sarete accontentati.

Chiudo con una certezza che mi guida nei rari momenti in cui non so cosa comprare. E quindi vi parlo non di un autore, nè di un libro in particolare, ma di una casa editrice: la Neri Pozza.
Neri Pozza pubblica i più bei romanzi storici e le più appassionanti storie al femminile che io abbia mai letto. E quando dico storie al femminile non penso a pizzi, merletti e sospiri d'amore. Tutt'altro. Le donne di Neri Pozza sono pioniere della scienza come in Strane Creature di Tracy Chevalier o grandi artiste come in La passione di Artemisia di Susan Vreeland.

Potrei proseguire, ma forse è il caso di fermarsi qui, per evitare che questo post diventi un libro a sè. Quindi non mi resta che augurare a tutti buon anno, e darvi appuntamento alla prossima settimana!

venerdì 26 dicembre 2014

Struffoli

Scrivere questo post con la pancia strapiena non è per niente facile. Ma si sa, le feste sono così e poi sono io che ho deciso di non far andare in vacanza il blog :)
E d'altronde, quale migliore occasione per tirare fuori dal cilindro un'altra ricetta di casa?
Gli struffoli sono un must sulla tavola delle feste di tutta la Campania, ragion per cui ogni famiglia custodisce gelosamente la sua versione, ognuna leggermente diversa dall'altra.
Nel mio ricordo, gli struffoli sono legati ai crampi allo stomaco. Ogni anno, senza eccezione, dopo aver spazzolato il primo piattino, me ne servo un secondo. Con la consapevolezza che starò male, perché ho già mangiato a sufficienza. E ogni anno divoro anche il secondo piattino. E i crampi ritornano, puntualissimi, poco prima della mezzanotte.
Ancora rido al pensiero della volta in cui mia madre aveva sistemato in camera mia gli struffoli appena fatti e pronti per essere portati alla cena di Natale. Non aveva evidentemente calcolato che in quella stanza c'ero anch'io che, tra una chiacchiera e l'altra con l'amica del cuore, ne ho fatti fuori la metà, rendendoli peraltro assolutamente impresentabili per la suddetta cena.
La ricetta che condivido oggi è il frutto di numerose sperimentazioni e, come si sarà capito dalle righe precedenti, di numerosi e dolorosi assaggi.
Fidatevi, ne varrà la pena.


Ingredienti
Per la pasta
500 gr di farina
4 uova
60 gr di burro
50 gr di zucchero
scorza di un limone grattugiata
scorza di un'arancia grattugiata
1 bicchierino di liquore Strega
1 bicchierino di anice
1 pizzico di bicarbonato
1 pizzico di sale
1 bustina di vanillina
olio per friggere

Per la glassatura
500 gr miele
codette e corallini colorati
granella di nocciole o altra frutta secca (a piacere)

Preparazione
Disporre la farina a fontana e mettere al centro le uova e tutti gli altri ingredienti per la pasta. Impastare il tutto fino ad ottenere un panetto liscio e abbastanza morbido (ma come al solito non troppo). Staccare dei pezzi di pasta con le mani, formare dei bastoncini sottili e tagliarli in tocchetti della lunghezza di circa mezzo centimetro.
Friggere gli struffoli in abbondante olio caldo, pochi alla volta, finché non sono dorati. Scolarli con un mestolo forato e disporli su carta assorbente.
Nel frattempo, preparare la glassa mettendo a scaldare il miele in un ampio tegame. Aggiungere gli struffoli continuando a mescolare. Spegnere il fuoco, versare gli struffoli in un piatto da portata e cospargerli con le codette e la granella di frutta secca.


mercoledì 24 dicembre 2014

Casino Totale - Jean-Claude Izzo

Lo so, sono in ritardo. Ammetto anche di aver pensato di andare in ferie finchè non sarà passao il Natale. Ma so che c'è qualcuno che ci resta male se il lunedì non trova il libro della settimana e quindi non posso esimermi, anche se in ritardo, dallo scrivere questo post. Tanto più che sono in treno e, a parte ronfare a bocca aperta tra gli sguardi di disapprovazione dei miei compagni di viaggio, non riesco a pensare a un'attività migliore.

Veniamo al libro. Raramente un titolo è stato così azzeccato, così assolutamente adatto ad un periodo della mia vita. Il libro di oggi si intitola Casino Totale, di Jean-Claude Izzo. Come quello del post precedente, anche questo è il frutto della mia razzia alla fiera della media e piccola editoria di Roma. Lo sottolineo perchè Casino Totale è un libro che in condizioni normali, cioè in una delle mie spedizioni in libreria, non avrei mai comprato. Non amo i thriller, i noir e i polizieschi. L'unico testo di questo genere che mi abbia davvero appassionata è Uomini che odiano le donne. Quando devo scegliere un libro, quindi, passo sempre oltre lo scaffale dei gialli e dei thriller.
E invece a Roma, ferma allo stand della E/O, la casa editrice di Elena Ferrante e de L'eleganza del riccio, mi sono fatta covincere ad acquistare un noir. Come per Uomini che odiano le donne, si tratta del primo volume di una trilogia. E come Stieg Larsson, anche Jean-Claude Izzo è scomparso improvvisamente, soli 55 anni. Le coincidenze insomma, anche se un po' macabre, c'erano tutte. Non mi restava che mettermi a leggere.

Sarà una deformazione "professionale" (lo metto tra virgolette, perchè magari lo fosse davvero!) dovuta alle mie ultime esperienze, ma la prima cosa che mi ha positivamente colpita in questo libro è il geniale cambio di narratore che avviene dopo i primi due capitoli. Ecco, probabilmente nessuno di voi si è mai interrogato su che tipo di narratore stia raccontando il romanzo che legge. A dire tutta la verità, fino a poco tempo fa non l'avevo mai fatto nemmeno io. Se vi va di iniziare, è un esperimento molto divertente. Pensate all'ultimo libro che avete letto o a quello che state leggendo: il narratore è esterno o interno? È onnisciente? Cambia di capitolo in capitolo, e perchè? Secondo me è una riflessione che dice molto anche sullo stile e la tecnica narrativa. Ok, basta con le cose noiose...
O forse no! L'altra deformazione "professionale"che ho sviluppato in questo periodo, infatti, mi impediva di ignorare una particolarità dello stile di Izzo che a volte mi risultava fastidiosa. La paratassi. Tanta. Tantissima. Frasi minime. Spezzate. Forse troppe. Ho reso l'idea? A volte la tecnica rende bene, aumenta la tensione, tiene incollati alle pagine. Altre volte fa venir voglia di prendere la penna e mettere insieme due frasi che non avrebbero motivo di essere separate.

Quanto alla trama, una storia di amicizia e vendetta ambientata a Marsiglia, a tratti mi ha intrigata, mentre in più di un'occasione ho avuto difficoltà a seguire le intricate vicende della malavita marsigliese. Ma questa seconda impressione dev'essere legata al mio scarso amore per il thriller più che ad un'incapacità dell'autore.
Il mio consiglio? Se siete amanti del genere probabilmente vi piacerà. Per quanto mi riguarda non posso dire che la lettura mi sia dispiaciuta, ma non credo che comprerò gli altri libri della trilogia.
Tra me e il thriller non corre ancora buon sangue :)

Buona vigilia a tutti!

venerdì 19 dicembre 2014

Le Zeppole di Mamma

Una blogger senza forno, puntata seconda.
Dopo arrovellamenti vari del genere "non posso cucinare un altra roba da frigo il 19 Dicembre", mi si è accesa la lampadina. Friggere. Si può friggere.
Come abbia potuto non pensarci prima resta un mistero, visto che da anni sento mia nonna risolvere ogni questione sul cibo avanzato in frigo con un perentorio: "Friggilo".
Ma una volta scelto il leggerissimo metodo di cottura, restava da decidere cosa friggere. E a cosa affidarsi, in questi momenti di indecisione, se non alle vecchie care e collaudatissime ricette di famiglia (date un'occhiata qui anche la settimana prossima, non anticipo altro)?
Quella che condivido oggi è la ricetta delle zeppole di mia madre, una vera e propria leggenda per tutti coloro che hanno avuto l'opportunità di assaggiarle almeno una volta. Sono in assoluto il dolce più richiesto ogni volta che siamo invitati da qualche parte o che abbiamo ospiti, e ogni singola volta spariscono in un nanosecondo, con tanto di commensali che si leccano le dita per non sprecare lo zucchero di copertura.

Ingredienti (per circa 20-24 zeppole)
500 gr di farina
200 ml latte
1 cubetto di lievito di birra
3 uova
1 cucchiaio di zucchero
5 pizzichi di sale
100 gr di burro morbido
1 bustina di vanillina
zucchero per la copertura


Preparazione
Sciogliere il lievito nel latte precedentemente intiepidito. Unire tutti gli ingredienti e impastare energicamente per 5-10 minuti: l'impressione dovrebbe essere quella di star "schiaffeggiando" l'impasto. Smettere di impastare una volta ottenuto un impasto soffice ma non eccessivamente morbido. Lasciar lievitare in un luogo caldo fino al raddoppio.
Quando il volume dell'impasto sarà raddoppiato, cominciare a formare delle ciambelle e disporle su un piano infarinato. Nel frattempo, mettere a scaldare l'olio. Quando sarà arrivato a temperatura, friggere poche zeppole alla volta per 3-4 minuti, finchè saranno dorate.
Ancora calde, passarle nello zucchero fino a ricoprirle. In alternativa, si possono ricoprire le zeppole con un mix di zucchero e cannella, che fa anche più Natale.

P.s. Non tutte le ciambelle riescono col buco, dice un proverbio. Ebbene, le mie zeppole il buco ce l'hanno, ma purtroppo non sono riuscite alla perfezione. Non avevo la bilancia, e l'impasto alla fine è risultato morbidissimo e ha assorbito un po' troppo olio. In cucina, e soprattutto in pasticceria, a volte va così. Ma non lasciatevi scoraggiare dal mio parziale fallimento :)
Se seguite alla lettera le dosi che vi ho dato, il risultato sarà perfetto.



lunedì 15 dicembre 2014

Olive Kitteridge - Elisabeth Strout

Ma quanti treni prendo negli ultimi tempi?
Sto scrivendo questo post in treno, e lo sto scrivendo su un libro letto da cima a fondo in treno, uno diverso da quello su cui mi trovo adesso, of course. Se calcolassi le ore che nelle ultime settimane ho trascorso sulle rotaie otterrei...
Onde evitare di trasformarmi nel conte del Gattopardo, che sul letto di morte contava le ore che nella sua vita aveva "sprecato" dormendo, sorvolo e passo oltre.
Anche perchè in questo post non volevo parlare di treni, ma di Più libri più liberi, la fiera della piccola e media editoria che si è tenuta a Roma tra il 4 e l'8 Dicembre scorsi. Sono arrivata alla fiera di prima mattina, dopo una serata fuori finita alla quattro, con gli occhi gonfi di sonno. Il tempo di fare il biglietto, e gli occhi erano spalancati dalla gioia e dallo stupore.
Ho camminato entusiasticamente tra gli stand, osservando e aprendo i libri, parlando con gli editori e scambiando opinioni con altri lettori. Ho anche comprato, ovviamente, e troppo. Ma va bene così, ho raccolto materiale per il blog. Adesso che ho anche una scusa per i miei acquisti compulsivi è la fine!

Stand della Fazi Editore. Una delle responsabili intercetta il mio sguardo che si posa curioso su uno dei volumi in bella mostra sul banco e inizia a parlarmene. Tempo cinque minuti, e mi ritrovo con il portafogli più leggero e la borsa più pesante.
Il libro è Olive Kitteridge di Elisabeth Strout, caso letterario degli ultimi tempi. Già solo a leggere la quarta di copertina si ha la certezza di non aver sbagliato. Una lista di encomi firmati Giordano, Baricco, New York Timese chi più ne ha più ne metta. Detto per inciso, se c'è una critica della quale mi fido quasi ciecamente è quella del New York Times.
In più, dal libro è stata tratta un'omonima serie televisiva prodotta dalla HBO e che in Italia andrà in onda su Sky a partire da Febbraio.


E adesso la parte più difficile. Si è capito che il libro è piaciuto a molti, se non a tutti. Ma io cosa ne penso? La prima parola che mi viene in mente è "interessante", che immagino sia l'aggettivo più usato quando non si ha niente da dire. In questo caso, però, credo che sia il termine appropriato per descrivere lo stile e la struttura di Olive Kitteridge.
Ancor più che un romanzo, Olive Kitteridge è una raccolta di istantanee della protagonista, il cui ritratto è delineato in una serie di capitoli che costituiscono dei brevi racconti indipendenti. In modo del tutto originale, non è quasi mai la protagonista a parlare di se stessa, ma il lettore riesce a ricostruire i momenti chiave della sua vita attraverso le parole degli altri personaggi del romanzo, a loro volta protagonisti dei singoli capitoli.
Così Olive, insegnante di matematica in una piccola cittadina del Maine, è a volte la voce narrante, altre volte una figura chiave e altre ancora poco più che una comparsa. E forse dopo tutto questo si capisce perchè io abbia usato l'aggettivo "interessante" :)
La trama in sè, invece, è assolutamente irrilevante, nel senso specifico che potrebbe essere diversissima e il romanzo non perderebbe nulla del suo fascino.
Se non siete fan delle raccolte di racconti, Olive Kitteridge potrebbe essere il modo giusto di approcciarsi al genere. E se invece siete già degli amanti delle storie brevi... Perchè non siete già in libreria?

venerdì 12 dicembre 2014

Cheesecake al Lemon Curd e frutti di bosco

Avere un blog è quasi un lavoro. E che lo dica io, che lo aggiorno "solo" due volte a settimana, può far un po' sorridere. Di certo c'è soltanto che quando l'ho iniziato qualche tempo fa ero convinta che non avrei avuto problemi a realizzare una ricetta a settimana. Non ero comunque abituata a sfornare un dolce o a lanciarmi in qualche ardita preparazione almeno una volta ogni sette giorni? E non ero forse io che avevo accumulato ogni strumento e libro di cucina che la mente umana abbia finora concepito?
Tutto giusto, quello che non avevo previsto è che i giorni potessero improvvisamente accorciarsi, gli impegni moltiplicarsi, gli strumenti e i libri da cucina finire nelle scatole di un trasloco e, udite udite, che avrei abbandonato la mia amata cucina per una nuova e... senza forno!
Ripeto, senza forno. E siamo quasi a Natale. Addio progetti di sfornare teglie su teglie di biscotti in attesa del tradizionale tè della vigilia!
Qualcosa però dovevo pur fare. Ed ecco l'illuminazione: vagando per gli scaffali del supermercato mi imbatto in un bellissimo barattolo di lemon curd, una delizia di cui leggo da tempo sui blog altrui, ma che non avevo mai provato. Appena l'ho visto mi è venuta in mente una fantastica ricetta (letta su questo blog, fonte costante e inesauribile di ispirazione), che avevo segnato tra quelle da fare e che, neanche a farlo apposta, non prevede nessuna cottura!
Quindi eccomi qui, con una ricetta estiva giusto nel momento in cui i gradi iniziano a scendere in picchiata!
A giudicare da quanto in fretta è stata spazzolata, comunque, direi che l'esperimento è può dichiararsi riuscito! ;)

CHEESECAKE AL LEMON CURD E FRUTTI DI BOSCO
(in origine "NO-FUSS FRUIT TART)


Ingredienti (per una teglia da 24-25 cm)

Per la base
375 gr di biscotti tipo Digestive (io ho usato i Grancereale classici, che vanno benissimo)
100 gr di burro (ho aumentato un po' la dose originale perchè la base non stava insieme)

Per la crema
400 gr Philadelphia a temperatura ambiente (rigorosamente non light)
240 gr di lemon curd a temperatura ambiente (io ho usato quello comprato)
Frutta a piacere per la copertura (io ho usato mirtilli e lamponi)

Procedimenti
Mettere i biscotti nel robot da cucina insieme al butto morbido. "Frullare" fino ad ottenere un composto sbriciolato. Pressare il composto sulla base e sui lati della teglia (io ho fatto tre monoporzioni) cercando di ottenere uno strato uniforme. Mettere in freezer per non meno di 30 minuti.
Per la crema, con le fruste battere il philadelphia con il lemon curd finchè il composto non sarà liscio e setoso. Estrarre la base dal freezer, versarvi tutta la crema e, prima di servire, decorare con la frutta. 



lunedì 8 dicembre 2014

Barbablù - Amélie Nothomb

Ogni libro ha il suo momento, nella vita di una persona. Alcuni libri hanno più di un momento, ma quelli sono un'altra storia.
Dopo aver passato diverse settimane a lagnarmi perchè "non avevo nulla da fare" e anche perchè "mi sento inutile", gli impegni e i compiti da portare a termine, le decisioni e i treni da prendere mi sono piovuti addosso tutti insieme. Ben mi sta, penserete voi. Sono d'accordo, mi sta decisamente bene. Quello che non mi sta bene, però, è che, per forza di cose, ho meno tempo da dedicare alla lettura. Però c'è l'appuntamento del lunedì, e a questo appuntamento non posso assolutamente mancare. Lo ammetto, per ovviare al problema ho provato a imbrogliare: a metà settimana, oberata dagli impegni, ho arraffato dallo scaffale di un amico il libro più corto della sua collezione. Poi però ho iniziato a leggere, ed è iniziata la magia. Non solo ho finito il libro in questione in un giorno, ma mi sono introdotta di nascosto nella camera del sopracitato amico per rubarne un altro della stessa autrice, e ho divorato anche quello! Le pagine capaci di scatenare cotanta estasi sono quelle di due brevi romanzi della scrittrice belga Amélie Nothomb, Barbablù e il viaggio d'inverno.


La Nothomb è di origine belga ma è nata in Giappone, dove il padre all'epoca faceva il diplomatico. Ha trascorso l'infanzia e l'adolescenza in giro per il mondo, seguendo i genitori nei loro spostamenti lavorativi. Ha pubblicato una serie di romanzi di successo a partire dal 1992, e in effetti avevo sentito parlare bene di lei già qualche anno fa, ma la mia idiosincrasia per il francese di cui parlavo qualche post fa mi aveva sempre trattenuta dall'iniziare la lettura.
Sottolineo le ultime parole, iniziare la lettura, perchè proprio di questo si tratta. Le parole della Nothomb prendono da subito, sono uno di quei casi felici in cui sin dalla prima pagina sai che arriverai in fondo al romanzo senza avere problemi di concentrazione, e che non ci sarà momento di pausa dalle altre attività che non vorrai dedicare alla lettura.
Nello specifico, la vicenda di Barbablù (anche se ho letto due libri, parlerò solo di questo) è liberamente ispirata alla nota fiaba di Perrault. Ho una certa difficoltà a chiamare "fiaba" quella di Barbablù perchè ricordo di averla letta da bambina con un certo sgomento. Se l'intento pedagogico era quello di scoraggiare l'eccessiva curiosità, direi che è tutt'altro che riuscito! A me Barbablù metteva soltanto l'ansia!
La variante moderna della Nothomb è ambientata a Parigi, dove un ricco nobiluomo spagnolo offre una camera dotata di tutti i comfort a soli 500 euro al mese (e avendo provato i reali "comfort" del centro di Parigi, trovo l'espediente narrativo perfettamente riuscito!). C'è un'unica controindicazione: tutte le precedenti coinquiline del nobiluomo sono sparite nel nulla. Saturnine, giovane donna intelligente e all'inizio della carriera accademica, accetta di vivere lì, apparentemente incurante del pericolo. Come al solito, non dico altro sulla trama. L'aspetto che ho trovato più interessante, al di là delle varianti apportate alla fiaba originali, è il fatto che il romanzo sia in tutto e per tutto improbabile, e in un certo qual modo consapevole della propria improbabilità. È come se dicesse: "Ebbene sì, è insensato e inverosimile. Tanto vale spingere insensatezza e inverosimiglianza all'estremo."
Sono proprio questi estremi a rendere i dialoghi acuti e al tempo stesso esilaranti e a produrre un ritmo narrativo agile e mai noioso. Barbablù è un libro che si legge tutto d'un fiato, e si finisce con lo spirito giusto tempo per aprirne un altro (approposito, Il viaggio d'inverno ha uno degli attacchi più belli che io abbia mai letto)! Sì, perchè anche se non devo dire niente sul finale, posso promettere che è molto meno inquietante dell'originale :)

Buon Albero a tutti,
Rachele

venerdì 5 dicembre 2014

Omini di Pan di Zenzero (Gingerbread)

Potrei iniziare questo post in così tanti modi che sono nella confusione più totale. Credo che finirò per produrre una sorta di flusso di coscienza, operazione stilistica che rispecchia fedelmente la mia vita negli ultimi giorni. Un flusso continuo, senza virgole, senza punti di riferimento.
Chi mi conosce sa che ho una particolare passione per il Natale, per la sensazione di festante attesa del giorno della vigilia, la sorpresa dei regali, per tutti gli oggettini più inutili che la mente umana abbia potuto concepire. A dispetto delle mie origini, sin da piccola sognavo un Natale come quello dei film inglesi e americani, con la neve, le case illuminate e quei fantastici biscotti a forma di omino che non avevo mai assaggiato ma sembravano buonissimi. Alla prima occasione, durante un viaggio in un paese anglosassone, ho dato il mio primo morso a un omino di pan di zenzero... Ed è stata la fine! Sono diventata una fan accanita, una consumatrice seriale persino della versione liquida, il Gingerbread Latte che Starbucks vende nel periodo di Natale.

Ma bisognava correre ai ripari, dove trovare i miei amati Gingerbread in Italia? Semplice, me li faccio! Non così semplice in realtà, perchè la ricerca della ricetta perfetta si è rivelata più complessa del previsto. I biscotti erano buoni, sì, ma avevo sempre l'impressione che mancasse loro qualcosa. E poi, all'improvviso...
L'anno scorso, qualche giorno prima di Natale, entro in un negozio di prodotti per pasticceria per comprare la classica formina a forma di omino. Alla cassa la commessa mi chiede: "Le serve anche lo zenzero e la ricetta?".Rispondo di sì senza nemmeno pensarci, ed esco tenendo tra le mani quella che è diventata una delle ricette più preziose in mio possesso, perchè è assolutamente perfetta!
Fidatevi di me, un solo morso e crederete di essere planati in una scena di un film di Natale :)

E poi, visto che siamo vicini all'Immacolata, preparate una tazza di tè o di cioccolata calda e tuffateci dentro i vostri omini. E la giornata sarà più dolce :)

OMINI DI PAN DI ZENZERO
Ingredienti
350 gr di farina
150 gr di zucchero di canna (io ho usato il Muscovado, che li rende ancora più buoni)
1 pizzico di sale
1 cucchiaino di bicarbonato
2 cucchiaini di zenzero macinato
1 cucchiaino di cannella macinata
1/2 cucchiaino di noce moscata macinata
1/2 cucchiaino chiodi di garofano macinati
3 cucchiai di miele
115 gr di burro morbido
1 uovo grande

Procedimento
Mescolare in una ciotola tutti gli ingredienti secchi, ad esclusione dello zucchero. Porre sul fuoco lo zucchero, il miele e ilburro e mescolare fino a quando il composto non si è amalgamato. Posizionare la farina a cupoletta e rompere un uovo al centro della stessa. Versare il composto liquido, una volta tiepido, sull'uovo e mescolare insieme alla farina. Lavorare il composto fino ad ottenere un impasto omogeneo. Formare un panetto e riporre in frigo per 24 ore prima dell'uso. Stendere la pasta e tagliarla secondo la forma desiderata su un fglio di carta forno inumidito con acqua. Infornare i biscotti così ottenuti aduna temperatura di 160° per 15 minuti, facendo attenzione alla cottura. Completare i biscotti con la decorazione desiderata.

Piccola parentesi sulla "decorazione desiderata" :) Io faccio veramente schifo a decorare, e non avevo nessuna voglia di mettermi a preparare la glassa! Quindi sono corsa ai ripari: ho sciolto del cioccolato bianco al microonde e ho disegnato gli occhi, la bocca e i "bottoni" degli omini utilizzando uno stuzzicadenti. A me sembrano carini lo stesso ;)


lunedì 1 dicembre 2014

Diario di scuola - Daniel Pennac

Sono nata in una famiglia di insegnanti. Mia nonna maestra elementare, mia zia insegnante alle scuole medie e mia madre professoressa alle superiori. All'ora di pranzo, la proverbiale domanda "com'è andata a scuola?" non veniva rivolta soltanto ai figli, ma si trasformava in un vivace dibattito cui tutti contribuivano con le proprie esperienze. Dovete immaginare una scena simile: mentre io raccontavo di un compito in classe, mia zia parlava della difficoltà di valutarli, mia madre raccontava di quell'alunno così bravo e di quell'altro che non sapeva come prendere, mio fratello ci riferiva l'ultima trovata del prof. che piaceva tanto a tutti... E mia nonna, voce fuori campo, che a volte contribuiva con un episodio dei tempi in cui, ormai taaaaaanti anni fa, insegnava alle scuole elementari! Adesso immaginate questa scena ripetersi per anni, praticamente tutti i giorni...

Perchè questa premessa? Perchè farvi fare l'esercizio mentale di immaginare le discussioni familiari intorno alla tavola da pranzo? Semplice, per introdurre il libro del giorno, Diario di scuola di Daniel Pennac. Piccola ulteriore premessa/parentesi/spassionato consiglio: se ne avete la possibilità, leggete Diario di un corpo, sempre di Pennac, che solo adesso mi rendo conto avere un titolo molto simile al libro di cui parlerò oggi. Comunque! Ho letto Diario di un corpo quest'estate, quindi non potrei parlarne sul blog, ma lo faccio lo stesso imploradovi di leggerlo: un'idea straordinaria e una narrazione acuta e delicata. Non dico altro, ma compratelo :)
E adesso veniamo all'altro Diario, quello che siede sulla mia scrivania. Sento dire spesso che Pennac è un autore che si ama o si odia. Dopo aver letto Diario di un corpo quest'estate, ero convinta di far parte della metà del mondo che lo ama. Dopo Diario di scuola mi chiedo se la lettura estiva costituisca una felice eccezione o se non sia invece questa raccolta di pensieri/saggio/autobiografia a essere una particolarità infelice. Provo a spiegarmi. Il libro di Pennac sulla scuola si legge velocemente, ma mi sembra che questa scrittura così agile sia messa al servizio di idee tutto sommato banali. E qui si spiega la mia premessa. Non sarà forse che io le trovo banali perchè per anni ho affrontato gli stessi argomenti in famiglia? Poi però mi chiedo: a chi è rivolto questo testo? Ai lettori attirati dalla pagella riportata in copertina e incuriositi dal passato da "somaro" dell'autore? Forse, e ammetto che la parte in cui Pennac ripercorre i suoi insuccessi scolastici è quella che ho trovato più divertente e interessante. Per il resto, Diario di scuola mi sembra banale se rivolto agli insegnanti e troppo complesso se rivolto agli studenti.
Credo che il suo merito sia quello di sollevare la problematica della scuola in una forma in grado di raggiungere il grande pubblico. E non c'è dubbio che la riflessione in questo senso vada incoraggiata. Ci saranno forse lettori che grazie a queste pagine avranno riflettuto a fondo per la prima volta sul ruolo della scuola, e su quanto sia fondamentale non andare esclusivamente in cerca di studenti "modello" lasciando indietro i "somari". Se così fosse, Pennac avrà raggiunto il suo scopo.
Per quanto mi riguarda, nonostante stia essendo molto critica nei confronti del libro, sono abbastanza d'accordo con le opinioni di Pennac sulla scuola. Leggendo queste pagine mi sono resa conto di doverle molto, quindi vorrei che questo post fosse anche un ringraziamento :)

venerdì 28 novembre 2014

Muffin al cacao amaro con amarene e cioccolato bianco

Scegliere questa ricetta non è stato per niente facile.
Avevo in mente di non fare un dolce, perchè tra qualche giorno sarà dicembre e si sa, con il Natale alle porte è inevitabile mettersi a sfornare un'infinità di biscotti da tuffare nel tè e nella cioccolata calda (potrebbe essere un indizio per la settimana prossima!).
Mi sono messa in cerca di un salato, ho trovato la ricetta giusta e ho fatto la lista degli ingredienti necessari. Fin qui la teoria. Poi, però, arriva il momento in cui la teoria si scontra con la pratica, il momento in cui la realtà bussa alla porta e tu forse non sei ancora pronta. Quando sono stressata, preoccupata o un po' giù, quando ho bisogno di rilassarmi e non pensare, in quei momenti devo fare un dolce. Ho bisogno di sapere che se mescoli insieme le dosi esatte di uova, farina, zucchero e latte si produrrà una magia. Fare un dolce significa dare forma ad una certezza.
Quindi oggi ho messo da parte la mia ricetta salata, ho aperto la dispensa, e sono nati questi muffin!

Muffin al cacao amaro con amarene e cioccolato bianco

La ricetta base è quella di Ernst Knam, la mia variazione prevede l'impasto al cacao invece che bianco e le amarene sciroppate e il cioccolato bianco all'interno.

Ingredienti (circa 15 muffin)
200 gr Farina 00
50 gr Cacao Amaro
125 gr Zucchero semolato
15 gr Lievito chimico in polvere
200 gr Latte intero fresco
3 gr Sale
90 gr Burro fuso
1 Uovo
Amarene sciroppate
Cioccolato bianco

In un'ampia ciotola unire il burro e l'uovo con il latte. A parte, mescolare la farina con il cacao amaro, lo zucchero, il lievito e il sale. Unire le amarene e il cioccolato bianco a pezzetti alle polveri, in modo che non affondino poi nell'impasto.
Aggiungere i liquidi alle polveri e amalgamare bene i due composti. Riempire gli stampini precedentemente imburrati e infarinati (i miei sono di silicone quindi salto questa operazione).
Cuocere in forno a 180° per circa 20 minuti.


martedì 25 novembre 2014

La vera vita di Sebastian Knight - Vladimir Nabokov

A volte va così: un nuovo libro mi si presenta in modo del tutto casuale e inaspettato.
Negli ultimi giorni diverse persone mi hanno chiesto come scelgo i libri di cui parlo sul blog, se c'è un criterio e se a volte descrivo libri già letti da tempo.
La risposta è che non c'è una regola precisa, se non quella di parlare solo ed unicamente di libri letti nei sette (o più) giorni che precedono la stesura del post. Non saprei fare diversamente, perchè le impressioni e le sensazioni che la lettura mi lascia non mantengono a lungo la loro nitidezza, e devono essere fermate subito.
Questo risponde alla seconda parte della domanda (sì, leggo davvero un libro nuovo a settimana), ma non spiega bene quale sia il criterio di scelta. Come già accennato, è del tutto casuale: vado in libreria, o su qualche sito tipo Amazon, o accetto le "imperdibili offerte" che mi arrivano tutti i giorni via email. Vago tra gli scaffali o le pagine web, guardo le copertine, apro, sfoglio, mi faccio un'idea. E poi compro, e inizio a leggere.
Il libro di oggi, invece, ha una storia un po' diversa. Roma Termini, ore 19.40: per ingannare il tempo in attesa della partenza del treno, Rachele e il suo benefattore (che per ora lasceremo anonimo) si aggirano tra gli scaffali di un'enorme libreria. L'anonimo benefattore preleva un libro dalla copertina gialla e sorride: "Di questo ho sentito parlare l'altra sera a cena. Te lo regalo, per il blog." Rachele prova a protestare, poi ad afferrare il libro per leggere la quarta di copertina. "Eh no, devi leggerlo senza sapere assolutamente niente!"
L'anonimo benefattore si avvia alla cassa, e mezz'ora dopo, sul treno, inizio a leggere.

Il libro della settimana è La vera vita di Sebastian Knight, un breve romanzo di Vladimir Nabokov, autore di San Pietroburgo naturalizzato statunitense e conosciuto per il suo Lolita, che io però non ho mai letto.

Il Sebastian Knight del titolo è un immaginario scrittore russo naturalizzato inglese (e direi che la somiglianza con la vicenda di Nabokov non è casuale), la cui "vera vita" viene raccontata, in seguito alla sua prematura morte, dal fratello.
Il genere, lo si capisce forse già da questa prima frase, è molto particolare. Nel descrivere la vita e le opere del fratellastro Sebastian, infatti, la voce narrante rivela che egli aveva la tendenza a stravolgere i generi letterari che sceglieva di adottare. È esattamente quello che Nabokov fa in questo romanzo, scegliendo di scrivere una biografia che in realtà altro non è che l'autobiografia della voce narrante nei suoi tentativi di scovare materiale per il libro sul fratello. Tutto chiaro? :)
Forse no, e il bello è che si potrebbe procedere oltre nella complicazione. La voce narrante, della quale non scopriremo mai il nome, dichiara a più riprese di non voler rivelare niente di sè, ma mentre si procede nella lettura è sempre più chiaro che egli in realtà sta scrivendo la propria autobiografia invece che la biografia del fratello. Il risultato finale è che farsi un'idea chiara delle due personalità che dominano questo libro è un'impresa praticamente impossibile. Le esperienze e i piani temporali si sovrappongono e la ricerca della "verità" sulla vita del fratello si trasforma in una raccolta di dettagli apparentemente insignificanti, ma che forse alla fine costituiscono il senso della vita.
Questa volta sono in dubbio, non saprei se consigliare questo libro (la cosa di cui sono sicura è che si tratti di un'ottima edizione e di un'ottima traduzione, e non capita spesso).
L'ho trovato difficile, estremamente denso e in un certo senso povero di contenuto. In alcuni momenti avevo la chiara impressione che meritasse la fatica di leggerlo, in altri annaspavo in cerca del significato e mi rendevo conto di aver bisogno di rileggere tutta la pagina per capirci qualcosa. Quindi lascio aperta la questione, e preferisco concludere con una citazione che a me è piaciuta molto e invita a riflettere sull'importanza dei dettagli e degli istanti della nostra vita:

"Adesso, quando era troppo tardi, e i negozi della Vita erano chiusi, rimpiangeva di non aver comprato un certo libro che aveva sempre desiderato; di non aver mai visto Tatsienlu, nel Tibet, o udito gazz blu ciarlare in mezzo a salici cinesi; di non aver riso all'insulsa barzelletta raccontata da una donna brutta e timida quando nella stanza nessuno aveva riso; di aver perso treni, allusioni e occasioni; di non aver dato la moneta che aveva in tasca a quel vecchio violinista di strada che suonava tremulo, solo per sè, in un certo giorno grigio in una certa città dimenticata."

venerdì 21 novembre 2014

Zuppa di cipolle e salvia con crostini al Gruyère

Lo ammetto, ho un problema con la Francia.
Per cominciare, i francesi non sono mai piaciuti. E fin qui, non me ne vogliano i francesi e gli amici residenti oltralpe, niente di strano: mi attengo al cliché (mi sembra proprio il post giusto per sfoggiare un francesismo).
Ma in fondo, perchè fermarsi al bieco luogo comune, al banale stereotipo? XD Si può fare di peggio, e in questo caso non me lo faccio ripetere due volte. Ebbene sì, perchè a me non piace neanche il francese. Sarà che lo trovo assolutamente impossibile da pronunciare, o forse che risveglia in me spiacevoli ricordi del tempo in cui ero costretta a studiarlo a scuola... Fatto sta che il suono della lingua francese mette a dura prova i miei nervi! Per qualche ragione tutti quei suoni morbidi e melodiosi e tutte quelle erre mosce turbano la mia psiche. E così, quando in diverse occasioni si finisce per parlare delle differenze linguistiche tra i vari paesi (sembra una follia, ma a me capita spesso!), si ripete, inevitabilmente, la seguente scena:

Persona X: "Ah, il francese! Ma avete notato che quando un uomo/una donna parla francese risulta incredibilmente più affascinante?"
Io: "Ehm, a me veramente fa schifo. Io adoro il tedesco!"
IMBARAZZANTE SILENZIO

D'accordo. Capisco che il tedesco possa non piacere, capisco tutte le simpatiche vignette che spopolano online e l'ormai vecchia storia secondo cui "i tedeschi sembrano sempre arrabbiati"...
Ma il mio è un amore spassionato, una cieca dedizione :) non saprei spiegarla altrimenti!

E veniamo adesso al terzo nodo della questione: Parigi. La Ville Lumière, la città più bella del mondo, la capitale degli innamorati. Ecco, parliamone.
Non sono completamente pazza, quindi non negherei mai la straordinaria armonia architettonica, la bellezza dei giardini, le strade ampie, l'atmosfera solenne, ma... C'è un ma! Dietro questa stupenda facciata si cela un'anima oscura, fatta di razzismo, classismo e problematiche sociali maldestramente nascoste, un po' come quei palazzi signorili con le fondamenta infestate di topi. È chiaro che la mia è una generalizzazione, e in quanto tale assolutamente parziale e attaccabile, ma è la sensazione che ho avuto camminando per la capitale francese.

E adesso uno si potrebbe chiedere: tutta questa presentazione, per poi realizzare una ricetta francese? Ebbene sì, perchè questa ricetta è un omaggio a un viaggio a Parigi. Ho cucinato con il sorriso, immersa nei ricordi: due donne, amiche di una vita, un fantastico compagno di viaggio (e amico anche lui! XD), due aerei, troppe ore in autobus, due amici (parigini d'adozione), tantissimi chilometri, cibo, risate, lacrime e litigate! Perchè in fondo non sono i luoghi che contano, ma le persone. E non c'è niente di meglio di un viaggio per imparare a conoscerle e a conoscersi meglio. 


Quella che segue non è proprio la ricetta originale della soupe à l'oignon, che prevederebbe una gratinatura in forno con un quintale di formaggio, ma una versione più light. Non poteva essere altrimenti, visto che ho preso la ricetta dal libro di Lorraine Pascale, che prima di diventare una famosa foodwriter, infatti, faceva la modella.

Zuppa di cipolle e salvia con crostini al Gruyère

Ingredienti (per 4 persone)
Per la zuppa
Olio di oliva
Una noce di burro
4 grosse cipolle
1 foglia di alloro
2 spicchi d'aglio
una manciata di foglie di salvia fresca
1 cucchiaio di farina
1 litro di brodo di manzo
una manciata di prezzemolo fresco
sale e pepe

Per i crostini
una baguette
75 gr di Gruyère
sale e pepe


Mettere sul fuoco un'ampia padella con l'olio e il burro. Pelare e affettare finemente le cipolle e metterle in padella con la foglia di alloro. Coprire e lasciar cuocere per circa 25 minuti, finchè saranno morbide. Nel frattempo tagliare finemente l'aglio e le foglie di salvia e metterle da parte.
Per i crostini, tagliare la baguette a fette piuttosto spesse (2,5 cm) e metterle sulla placca del forno ricoperta da carta forno. Grattuggiare il Gruyère e usarlo per ricoprire i crostini. Quando le cipolle saranno quasi pronte, infornare i crostini utilizzando la funzione grill, finchè non saranno dorati e il formaggio sarà sciolto (circa 5 minuti).
Non appena le cipolle saranno morbide, aggiungere l'aglio, la salvia, la farina e il brodo di manzo. Rimettere il coperchio. Quando la zuppa starà bollendo, rimuovere il coperchio e lasciar asciugare per 2-3 minuti. Aggiustare di sale e pepe.
Togliere i crostini dal forno, aggiungere il prezzemolo alla zuppa e servire

 


martedì 18 novembre 2014

Il valzer degli addii - Milan Kundera

Quando viaggio mi piace perdermi.
In una città o in un paese nuovo, mi piace mettere via la guida e la cartina e iniziare a camminare. Osservo la vita intorno a me, le persone che corrono al lavoro o chiacchierano sedute ad un caffè. Mi soffermo a contemplare le vetrine, a guardare i piccoli mercatini di quartiere, fuggendo il più lontano possibile da quelle strade dello shopping che ormai sono identiche in tutta Europa.
Mi siedo a bere qualcosa e ad assaggiare un dolce locale, poi riprendo a camminare. Cerco di assorbire la città con tutti i miei sensi: ascolto, annuso, tocco, assaporo, osservo.
E poi c'è il mio sesto senso: la lettura. Quando viaggio mi piace leggere un libro legato al luogo in cui mi trovo, che sia ambientato nella città nelle cui strade sto camminando o, meglio ancora, sia stato scritto da un autore locale.



 Il weekend scorso ero a Praga (questo spiega il ritardo in tutti i miei post), e la scelta dell'autore è stata ardua. Milan Kundera o Franz Kafka? Non me ne voglia Franz, ma non ero molto in vena di scenari inquietanti. Prima di partire, quindi, ho comprato un libro di Kundera, Il valzer degli addii.
Avrei potuto scegliere il più classico L'insostenibile leggerezza dell'essere, ma ho preferito optare per qualcosa di totalmente nuovo e di cui non sapessi niente. In più, sul retro della copertina era riportato uno stralcio di intervista all'autore che prometteva molto bene: a quanto pare, Il valzer degli addii è il romanzo che Kundera ha scritto "con più divertimento e più piacere".
Sul divertimento non sono così sicura, ma la lettura di questo romanzo è senza alcun dubbio un piacere. Mentre seguivo l'intrecciarsi delle vicende amorose, non riuscivo a smettere di pensare che lo svolgersi degli eventi assomgliasse ad una danza. Ci ho messo un po' per rendermi conto che in effetti il titolo suggeriva esattamente questa interpretazione, e che raramente capita di trovarne uno così azzeccato.
Mai come questa volta sarebbe ingiusto rivelare i dettagli della trama, perchè sarebbe un po' come vedere un trailer che anticipa tutte le scene migliori di un film. E il paragone con il cinema non è per niente casuale, perchè Kundera scrive con la sapienza di un regista, interrompendo la narrazione in modo da lasciarci con il fiato sospeso, incollati alle pagine per scoprire cosa succederà dopo.
Il romanzo è un mix perfetto di storia, riferimenti filosofici e letterari, psicologia e soluzioni narrative assolutamente geniali.
Se poi lo si può leggere in un caffè di Praga in un freddo pomeriggio quasi invernale, tanto meglio ;) Ma ovunque voi siate, ve lo consiglio!
A venerdì (e stavolta spero di non essere in ritardo),
 Rachele
 

venerdì 14 novembre 2014

Merluzzo in crosta di noci, limone e parmigiano di Gordon Ramsay

Questa volta sono riuscita ad abbinare la ricetta al libro, ma è stato facile. Non dovevo fare altro che scegliere una ricetta che avesse a che fare con l'Inghilterra. E a chi chiedere di un piatto britannico se non ad un inglese da tredici stelle Michelin? Sto parlando del già citato Gordon Ramsay :)

Fatta la mia scelta iniziale, mi sono lanciata nella lettura del suo Ultimate cookery course alla ricerca di una ricetta che fosse facile da realizzare (il periodo è molto incasinato) e soprattutto che non fosse un dolce, per cambiare un po'
 
Ecco, la ricerca non è stata facile. Sfogliavo le pagine entusiasmandomi per ogni singolo dolce proposto e ripetendomi "sonoinglesisonoinglesisonoinglesi" per ogni ricetta di pasta con pomodorini e olive presentata come la scoperta culinaria dell'anno
 
E poi è comparso. Il triste, inglesissimo merluzzo. Non fritto però, ma in crosta. Anzi, in una crosta che mi ricorda molto una delle ultime trovate della Findus, trovata che a me piace moltissimo ma sfiora i 6 euro per due porzioni e quindi fa un po' passare la fantasia
 
Quindi grazie, Gordon, per avermi svelato il "segreto" della Findus, facendomi risparmiare un po' ma soprattutto facendomi cucinare tutto con ingredienti freschi. Che alla fine la differenza si sente!

Merluzzo in crosta di noci, limone e parmigiano
da Gordon Ramsay's Ultimate cookery course

Ingredienti
Per 4 persone (io ho più che dimezzato perchè ero da sola)

1 filetto di merluzzo privato della pelle, circa 700 gr
olio extravergine d'oliva per condire

Per la crosta
75 gr burro
75 gr gherigli di noci
75 gr mollica di pane
buccia grattugiata di un limone
75 gr di Parmigiano grattugiato
sale e pepe

Per prima cosa preparare la crosta. Tagliare il burro a dadini e metterlo nel robot da cucina insieme alle noci, alla mollica, alla scorza di limone, due terzi del Parmigiano, sale e pepe e frullare finchè l'impasto non sta insieme.

Eliminare eventuali spine rimaste dal filetto di merluzzo e metterlo su una teglia da forno leggermente oliata, con la parte della pelle rivolta verso il basso (visto che il merluzzo doveva essere senza pelle, immagino che significhi "con la parte dove c'era la pelle rivolta verso il basso") e aggiustare di sale e pepe.

Distribuire uniformemente l'impasto della crosta sul filetto e metterlo in frigo a raffreddare per 20 minuti circa, in modo che la crosta si rassodi.

Preriscaldare il forno a 200°. Aggiungere il Parmigiano rimanente sulla crosta e infornare per 20-25 minuti, quando la crosta sarà dorata e croccante e il merluzzo cotto a puntino.



Sembra o non sembra quello della Findus? :p Va bene, la smetto di incensarmi! Scherzi a parte, la ricetta è veramente ottima, si fa in due secondi con ingredienti che di solito sono già in casa (filetto di merluzzo a parte, forse) e sprigiona un profumo di limone e noci fantastico. La prossima volta ci provo con le nocciole al posto delle noci... Come insegna Gordon, bisogna sperimentare! :)

A lunedì,
Rachele

lunedì 10 novembre 2014

La mia Londra - Simonetta Agnello Hornby

Tra me e Londra è stato amore a prima vista. Mi sono innamorata della città dal primo viaggio sul trenino che collega l'aeroporto di Stansted a Victoria Station, mentre con la fronte schiacciata sul finestrino osservavo la campagna trasformarsi in uno dei centri più caotici del pianeta.

Sono stata a Londra due volte, e in entrambe le occasioni camminavo per le strade con il cuore gonfio di gioia. Non so spiegare bene perchè, ma mi sentivo bene. I parchi, le librerie, i teatri, i locali, le persone, l'ordinata frenesia che pervade ogni cosa mi hanno conquistata.
A Londra c'è tutto il mondo, e la sensazione che tutto il mondo sia ben accolto. Non amo le città grandi, perchè in qualche modo finisco sempre per sentirmi spaesata, e la cosa mi crea inquietudine. Eppure, per Londra non è stato così. Ricordo che prima di andarci per la prima volta avevo letto la famosa affermazione di Samuel Johnson: "Chi è stanco di Londra è stanco della vita, perchè a Londra c'è tutto ciò che la vita può offrire." Dopo poche ore trascorse nella capitale del Regno Unito, non potevo non trovarmi d'accordo.

Dalla stessa frase di Johnson prende le mosse il libro di Simonetta Agnello Hornby, La mia Londra. L'autrice, nata e cresciuta in Sicilia ma naturalizzata inglese, ha vissuto a Londra per circa quarant'anni e nel libro racconta il suo rapporto con la città, a partire dal suo primo viaggio in Inghilterra a diciotto anni.
Una delle prime cose che mi ha colpita è una frase, che descrive la sensazione che ho sempre provato senza trovare però le parole per esprimerla: "avevo la sensazione di essere in una città sconosciuta, non estranea." Soddisfatta della scoperta, mi sono gettata a capofitto nella lettura. La mia Londra è un libro strano: un po' guida turistica, un po' saggio storico, un po' autobiografia e un po' una vera e propria dichiarazione d'amore per la città. Sia che si ami Londra sia che non la si conosca non si può non restare rapiti da come l'autrice lega i luoghi della città ai fatti della sua vita, senza far mancare riferimenti storici o all'attualità.
Non so se per naturale curiosità o inscusabile tendenza al gossip, ma entrare nelle vite degli altri attraverso le loro parole mi piace tantissimo e riesce sempre a catturare la mia attenzione. Credo che in un certo senso mi aiuti a mettere in prospettiva la mia vita e le mie esperienze.
Un altro aspetto decisamente interessante del libro è che lo si può leggere come una preziosa guida turistica. Quante volte, in una città nuova, ci si ritrova a desiderare di avere una guida del posto? Certo, se chiedessimo a dieci persone diverse probabilmente otterremmo in ogni caso consigli diversi. Ma non è forse questo il bello? La Londra del libro, come del resto emerge dal titolo, è la Londra dell'autrice. Nel mio prossimo viaggio, porterò con me i suoi consigli

 

venerdì 7 novembre 2014

"Amazing Apple Pie" di Jamie Oliver

La prima volta che ho sentito parlare di Jamie Oliver è stato diversi anni fa, verso la fine del liceo. Forse sarebbe più corretto dire che ho sentito parlare Jamie, piuttosto che sentir parlare di lui.
Io e mio fratello trascorrevamo le sonnolente ore del dopopranzo spiaggiati sul divano a guardare Gordon Ramsay sbatacchiare padelle, ululare insulti e coprire di f**k i terrorizzati concorrenti di una delle prime stagioni di Hell's Kitchen USA. Un giorno, facendo zapping durante una pausa pubblicitaria, ci siamo ritrovati davanti un altro inglese, sempre biondo ma un po' più giovane, che cucinava e assaggiava con l'espressione di un bambino la mattina di Natale, e invece di f**k continuava ad esclamare "beautiful!" o "glorious". Lì per lì il tutto mi era parso un po' comico.
Da italiana cresciuta in una famiglia in cui si faceva e si fa tutto in casa, dove l'insalata in busta è un abominio e se avevi fame per merenda mamma preparava "un attimo (cit.)" una torta, vedere un ragazzone inglese entusiasmarsi ed esclamare "amazing" difronte a un filo di olio di oliva era decisamente troppo.

Ho rivalutato l'impresa di Jamie Oliver qualche anno dopo (ormai quasi due anni fa), durante il mio semestre da studentessa Erasmus in Germania. Vagavo per i corridoi del supermercato piena di angoscia, perchè se la mia vita da fuorisede mi aveva da tempo abituata all'idea di un reparto surgelati grande quando il supermercato della mia cittadina d'origine, non ero pronta ad affrontare le file infinite di cibo in scatola, liofillizzato, le innumerevoli tipologie di salsine e zuppe pronte in tetrapack. Osservando sconsolata la spesa delle persone in fila davanti a me, mi rendevo conto che fuori dall'Italia, insegnare che anche in poco tempo si può cucinare cibo sano senza necessariamente ricorrere alle scatolette è in effetti un'impresa di tutto rispetto. E quando tornavo a casa con le mie buste della spesa, lo ammetto, a volte guardavo Jamie Oliver sul suo canale youtube ;)

Pochi dolci dicono comfort food come la torta alle mele, e se è un apple pie che ricorda tanto i dolci di Nonna Papera tanto meglio! Questa è la versione di Jamie Oliver, tratta dal libro Jamie's Comfort Food.
Con questa ricetta partecipo, con grande gioia ed emozione visto che lo seguo da tantissimo, allo Starbooks Redone di Novembre. Se qualcuno non sa cosa sia, lo trova qui.
E lo consiglio vivamente :)

Veniamo alla ricetta!

Ingredienti per 8 persone
Per la brisé
250 g di burro non salato molto freddo
350 g di farina 00 più extra per infarinare
1 cucchiaio di zucchero semolato
150 ml di acqua gelata
1 pizzico di sale
Per il ripieno
2 kg di mele (io ho usato metà Granny Smith e metà Renette)
1 limone
50 g di burro non salato
100 g di zucchero muscovado chiaro (io non ho trovato quello chiaro, quindi ho usato quello classico)
1 buon pizzico di cannella in polvere (ne ho usato più di un pizzico, ma aumenterei ancora la dose)
Per la rifinitura
1 uovo grande
20 g di zucchero Demerara (non ho trovato neanche il Demerara e quindi ho usato del semplice zucchero semolato)


Per preparare la pasta brisé tagliate il burro in dadini e metteteli in congelatore fino a che non siano belli freddi.
Mettete la farina con un bel pizzico di sale, lo zucchero ed il burro in un processore ed usate il pulse per ottenere un composto con grosse briciole (Io non ho un processore, quindi mi sono affidata unicamente alle mie mani. Prima di iniziare a impastare, comunque, le ho eroicamente raffreddate sotto un getto d'acqua gelata). Aggiungete l'acqua gelata ed attivate il pulse fino a che l'impasto non starà insieme (sono stata attenta ad aggiungere l'acqua un po' alla volta, e in effetti me ne sono serviti almeno 100 ml in meno di quanto suggerito nella ricetta). A questo punto usate le mani per compattare l'impasto e dividetelo in due parti tonde e piatte, avvolgetele nella pellicola e mettetele in frigo per 1 ora.
Nel frattempo, per il ripieno pelate e private del torsolo le mele, quindi dividetele in pezzi di ca. 1 cm di lato. Irroratele di succo di limone per evitare che si scuriscano.
Sciogliete il burro e lo zucchero muscovado in una larga padella quindi aggiungete la cannella.
Quando comincia a fare le bolle, aggiungete metà delle mele e fate cuocere per 10 minuti circa, mescolando (io le ho fatte cuocere un po' meno perchè le ho tagliate un po' più piccole e rischiavo che si spappolassero). Devono essere morbide ma non perdere la loro forma. Aggiungete quindi la restante metà e fatela cuocere per altri 4 minuti. Togliete dal fuoco e fate raffreddare completamente.
Preriscaldate il forno a 190°C.
Su una spianatoia infarinata stendete il primo pezzo di pasta, spolverandolo via via che stendete, fino a che non sia sottile c.ca 3 mm.
Arrotolate la sfoglia sul matterello quindi foderatevi uno stampo per pie da 26 cm di diametro precedentemente imburrato e infarinato. Fate sbordare la pasta sullo stampo.
Sbattete l'uovo e spennellate il il bordo della pasta.
Riempite con il ripieno e distribuitelo con delicatezza.
Stendete la rimanente pasta quindi srotolatela a coprire il ripieno, lasciando che si adagi naturalmente sulle mele quindi premete gentilmente sui bordi. Con un coltello eliminate la pasta in eccesso (con la quale potrete decorare la superficie), quindi premete i bordi con una forchetta o pizzicateli con le dita.
Spennellate tutta la superficie con l'uovo e segnate una croce al centro (io ho fatto un piccolo camino circolare), cospargete il tutto con lo zucchero demerata e fate cuocere per 50/60 minuti fino a che non sarà dorata.
Servite con cucchiaiate di crema voluttuosa.

 


Note personali:

  • Il risultato finale del dolce è ottimo, il sapore delle mele è deciso e avendo usato le Granny Smith la mia aveva una punta acidula che io ho trovato fantastica, soprattutto se si serve il dolce con una pallina di gelato (io lo avevo solo allo yogurt, ma immagino che "la morte sua" sarebbe con il gelato alla vaniglia o alla cannella).
  • Le dosi sono precise e perfette per le dimensioni dello stampo. Solo due piccole osservazioni: nel preparare la brisèe bisogna avere l'accortezza di aggiungere l'acqua poco alla volta, perchè è altamente probabile che non serva tutta quella indicata dalla ricetta. L'altra cosa è che un pizzico di cannella per due chili di mele mi sembra un po' poco, e infatti, nonostante io abbia aumentato la dose, nella mia apple pie la cannella non si sente molto.
  • Quest'ultima considerazione è assolutamente personale e prescinde dalla buona riuscita della ricetta. La quantità di burro utilizzata per la brisèe fa sì che il risultato finale sia quasi più simile ad una sfoglia (effetto probabilmente peggiorato dal fatto che io l'ho stesa un po' troppo sottile). Per il mio gusto personale, non essendo particolarmente amante del burro e di conseguenza nemmeno della sfoglia, avrei probabilmente preferito una pasta "più tradizionale". 


Comunque, sorvolando sulle stranezze del mio palato, la ricetta è ben spiegata e al primo colpo riesce un ottimo dolce, dunque non può che essere
PROMOSSA



lunedì 3 novembre 2014

Il lato oscuro del cuore - Corrado Augias

Leggendo questo libro mi sono ritrovata più di una volta a pensare che è incredibile che sia capitato tra le mani proprio a me, proprio in questo momento...
Ma in fondo forse quello che leggiamo in un libro dipende sempre dal nostro stato d'animo. Lo stesso libro letto due volte in due diversi momenti della vita non ci sembrerà mai uguale. Ci sarà sempre un dettaglio, una frase che ci tocca più profondamente della volta precedente. Perchè la vita è esperienza, e l'esperienza modifica radicalmente la nostra percezione del mondo.

A me Corrado Augias è sempre piaciuto, anche se lo associo più alla sua veste di giornalista o di saggista che a quella di romanziere. Ad ogni modo, sono ammirata dalla sua pacatezza e dalla sua capacità di scegliere sempre le parole giuste. Nè troppe nè troppo poche, sempre diretto ma mai sopra le righe. Quando, durante una delle mie spedizioni alla Feltrinelli, ho visto che Einaudi aveva appena pubblicato un suo romanzo, Il lato oscuro del cuore, non mi sono lasciata sfuggire l'occasione e l'ho subito comprato (e poi mi chiedo perchè il mio conto sia nelle attuali condizioni...!). Nessuno stupore nello scoprire che la penna di Augias è fluida quanto la sua voce. In oltre duecento pagine ho la sensazione di non aver letto una sola parola fuori posto. Un linguaggio che suona come uno spartito eseguito alla perfezione, senza una nota stonata.
Mi rendo conto che la mia ode alla lingua può far un po' sorridere, ma ammetto che coltivo una vera e propria ossessione per la pulizia nella scrittura. Odio dover leggere una frase due volte per riuscire a capirla, non sopporto la punteggiatura fuori posto e le ripetizioni. Il che fa sì che mi dia un enorme fastidio rileggere quello che scrivo, perchè ho sempre la sensazione che la mia scrittura sia poco fluida.. ma sto divagando!

Il lato oscuro del cuore ha come protagonista Clara, giovane laureata in Psicologia e appassionata studiosa di storia delle idee. In attesa di risposta a una domanda di dottorato, divide le sue giornate tra lo studio e i fallimentari tentativi di cercare un lavoro. Certo, questa è la mia parziale ricostruzione della vicenda, perchè il romanzo è molto altro, e anzi probabilmente ad un altro lettore apparirà tutt'altro. Questo è l'aspetto che ha più colpito me, e dev'essere perchè rispecchia esattamente la mia condizione attuale.
La narrazione si svolge su due piani, quello "alto" e distante dalla vita degli studi di Clara e quello "basso" della vita reale, enormemente più vera e difficile da affrontare. Eppure in un certo senso è la vita reale a prevalere: Clara si ritrova invischiata in situazioni che sono più grandi di lei e deve affrontarle con gli strumenti che i suoi studi le hanno dato. Ho trovato riuscitissimo il parallelo tra "i libri" e "la realtà": da un lato i grandi casi che hanno fatto la storia della psicanalisi, dall'altra le nevrosi, i traumi e le tragedie della vita quotidiana.

E poi il finale. Non saprei dire se mi ha lasciato o meno l'amaro in bocca, forse perchè sono ancora in attesa del finale della mia, di storia. Comunque sia, nel leggere di Clara che, confrontatasi con la realtà, "è stata delusa da se stessa", non ho potuto fare a meno di sperare, per me, in un finale diverso. Non resta che aspettare.