A
volte mi prendono i momenti di astrazione. Non per niente sono una
filosofa. E allora vengo assalita dal bisogno di distinguere,
dividere, classificare. Bianco o nero, buono o cattivo, giusto o
sbagliato.
Ma
sono una filosofa atipica, e la mia mania classificatoria ha un
bersaglio preferito: i libri. Strano, vero? Perché ovviamente so che
le visioni manichee del tipo bianco/nero hanno poco a che vedere con
la realtà, ma quando leggo a volte non posso fare a meno di formarmi
un giudizio ben preciso. E a volte, forse colpevolmente, con molte
poche sfumature.
Questa
fumosa introduzione parte da un pensiero avuto mentre leggevo il
libro della settimana, Il
peso di
Liz Moore. Oltre trecento pagine scorrevoli e ben scritte, niente da
dire, ma... C'è
un ma! Proprio così,
perché mentre sfogliavo una pagina dopo l'altra, quasi incapace di
fermarmi, ho avuto la chiara impressione che la ragione per cui non
riuscivo a smettere di leggere era soltanto una: volevo sapere come
andasse a finire. Ed è
stato in quel momento che ho partorito la mia massima. “Ci sono
libri che ci appassionano perché è
bello leggerli, e altri che ci appassionano perché ci interessa
sapere come finisce la storia.” Non una grande scoperta, a
rileggerla adesso.
Eppure
è
il mio modo di spiegarmi l'attaccamento quasi morboso (l'ho finito in
2 giorni) per un libro che non mi convinceva e ha continuato a non
convincermi fino alla fine. Il che, tra l'altro, apriva un'altra
questione importante. Come parlare, qui sul blog, di un libro poco
convincente?
Non
che finora non abbia mai espresso le mie perplessità, ma in questo
caso si tratta addirittura di un libro che non consiglierei. E in
più, (orrore, massimo orrore!) di un testo edito dalla mia casa
editrice preferita, quella stesse Neri Pozza che qualche post fa
indicavo come porto sicuro dove approdare nei casi in cui non si sa
bene cosa leggere.
Dunque,
per dirla come Joe Bastianich, DILUSIONE.
Mentre
mi immergevo nelle vicende del libro, una specie di dialogo a
distanza tra i due protagonisti, diversissimi per età
e stili di vita ma legati dal destino, la forza che mi spingeva ad
andare avanti era solo ed unicamente la curiosità. Di sapere come
sarebbe andata a finire. Di scoprire dove l'autrice sarebbe andata a
parare.
Con
mio grande piacere, ho scoperto che non si va a parare da nessuna
parte. Già
temevo di dover leggere un finale zuccheroso e scontatissimo degno di
un film di Natale. Non è
così. E in effetti il fatto che il libro si chiuda proprio in quel
modo gli fa senz'altro guadagnare dei punti.
Mi
sto rileggendo, e non vorrei rischiare di suonare come un'odiosa
dispensatrice di giudizi definitivi. Ovviamente le opinioni personali
sono ben lontane dall'essere giudizi insindacabili. E d'altronde
finora non ho detto nulla che indichi chiaramente perché questo
libro mi abbia convinta così poco. Provo a pensarci, e la prima cosa
che mi viene in mente sono i personaggi. Penso che sia estremamente
difficile per un'autrice immedesimarsi nei personaggi di sesso
maschile, e viceversa per un autore immedesimarsi in quelli di sesso
femminile. Si rischia di ottenere un risultato poco credibile, e se
entrambi i protagonisti del libro sono uomini poco credibili la
frittata è fatta.
Mi
fermo qui perché, leggendo la quarta di copertina, mi rendo conto
che figuro in splendida solitudine tra i detrattori del libro, che a
quanto pare “ha
ottenuto uno straordinario successo di pubblico e di critica negli
Stati Uniti e in Inghilterra.”
Non
mi resta che darvi appuntamento alla settimana prossima. E, avendo
già cominciato a leggere, credo che la recensione sarà ben diversa
:)
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